Cosa sono i loghi sonori? Con Mariano Diotto approfondiamo il tema dell’Audio Branding

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Cos’è l’Audio Branding e perché è sempre più importante per i brand? Com’è la situazione in Italia e all’estero? Quali metriche possono essere utili per capire l’apporto di questo tipo di attività nei risultati di un’azienda? Anche la voce si lega al brand come elemento identificativo?

Con Mariano Diotto abbiamo risposto a queste e ad altre domande, raccontando la storia del sound branding, dai jingle, alle canzoni pop, fino ai moderni sound logo.

Loghi Sonori e Audio Branding con Alessio Pomaro e Mariano Diotto

Mariano è un brand strategist e grande esperto di neurobranding. È fondatore dei corsi di laurea del Dipartimento di Comunicazione IUSVE di Venezia e Verona, docente universitario, e fondatore di Neuromarketing Italia. Durante l’episodio facciamo esempi anche di brand molto noti ed un “esperimento creativo”.

Le tecniche per ricordare e memorizzare un prodotto o un servizio possono essere innumerevoli, però bisogna capire quali sono quelle più efficaci!

 

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I punti salienti

00:46 Presentazione di Mariano Diotto
01:34 Cos’è l’Audio Branding (o Sound Branding) e perché sarà sempre più importante per le marche
03:26 Jingle, Canzoni pop per il branding e Sound Logo (o Logo Sonoro)
08:18 Lo spot Pepsi con Michael Jackson
08:51 Un esperimento con lo spot Audi ed il Logo Sonoro di McDonald’s
09:43 Come si crea un logo sonoro? Come si allinea un suono all’identità di un brand?
11:58 Il caso di Mastercard: probabilmente, l’ambiente sonoro più completo che sia stato creato
16:09 Identità visiva e componente audio: com’è la situazione in Italia e all’estero
20:30 Le metriche per misurare l’apporto dell’Audio Branding
23:47 Come entra il concetto dell’Audio Branding nel mondo della Voice Technology
28:17 Il caso dello spot Intimissimi
30:14 Consigli ai brand verso il mondo dell’Audio Branding
34:42 Take Away

 

Loghi Sonori e Audio Branding: intervista a Mariano Diotto

Oggi parliamo di Audio Branding, che spesso viene definito anche Sound Branding. Ci spieghi di cosa si tratta e perché è qualcosa che sarà sempre più importante per i brand?

Diciamo che in Italia arriviamo un po’ in ritardo su questi aspetti.. in America questo funziona già da tantissimi anni. L’audio branding, il sound branding, sostanzialmente è un’attività commerciale, perché serve proprio per promuovere il brand, invece che solo sotto l’aspetto visivo, attraverso un nuovo modo legato ad un altro senso: quello dell’udito! Quindi attraverso  un suono che si riferisce ad un determinato brand.
Oltre a collegare un segno grafico, un colore, delle forme, c’è un altro tipo di memorizzazione, ovvero quello del suono, che può essere un suono inedito, originale o una canzone già famosa.

Tutti conosciamo il logo design, quindi sappiamo che un’azienda è caratterizzata da un’immagine visiva, da un segno grafico, da un logo tipo..

È sicuramente un aspetto interessante perché i brand hanno sempre più necessità di distinguersi dai competitor, e quindi in un mondo sempre più affollato visivamente, dove colori e forme sono molto forti, le emozioni (che adesso sono una grammatica interessante per i brand per comunicare) vengono trasferite anche del suono.

Pensa a quanto memorizziamo a livello sonoro.. nel senso che una canzone ci ricorda un amore particolare, una canzone riascoltata dopo tanti anni ci fa rivivere la stessa emozione.. Possiamo dire che si tratta di un aspetto straordinario, quindi nel futuro ci sarà molto Audio Branding!

 

Nel tuo contributo su Voice Technology parli di Jingle, di canzoni pop per il branding e della nascita del sound logo. Diciamo che si tratta dell’evoluzione dell’Audio Branding.. Mi piacerebbe se la raccontassi con qualche esempio..

Il Sound Branding (chiaramente non aveva ancora questo nome) parte addirittura nel 1600.. e non c’era ancora la radio! In quel momento nasce proprio la parola jingle, proprio perché si trattava di un suono, di un ticchettio molto metallico ricorrente che diventava quindi una forma di memorizzazione. E da questa caratterizzazione, si è arrivati alla fine dell’Ottocento, primi del Novecento, con quelli che vengono definiti jingle veri e propri, quindi dei suoni collegati a un determinato brand o a un determinato prodotto.

Ci sono state addirittura delle aziende che realizzarono degli spartiti per suonare la musica del proprio brand in determinati contesti, e ancora una volta, prima che ci fosse una logica radiofonica.. quindi il suono era già un elemento ancestrale delle persone. E il successo del jingle è avvenuto proprio perché è costruito su quello che si chiama “hook“, cioè un aggancio mnemonico; nel senso che il jingle ha la capacità di essere memorizzato perché è ripetitivo, perché ti entra dentro senza che tu te ne accorga!
E quella musichetta che tu senti ma il tuo cervello non pensa di aver sentito.. invece continua a passarti in testa!? Questa è una cosa straordinaria, e già in quei tempi permise un primo collegamento tra suono ed una determinata azienda, un determinato brand, un determinato prodotto.

Il primo jingle è andato in onda il 24 dicembre 1926 con una famosa marca americana di cereali con la scatola arancione che poté iniziare proprio la pubblicità in radio. E tra l’altro furono anche i primi ad andare in televisione.. in realtà il primo spot in TV fu quello di Bulova, ma il loro fu il primo musicale, quindi hanno mantenuto questo record di tutti i mezzi di comunicazione.

Da questo ingranaggio di suoni molto riconoscibili, quindi anche identitari e legati a un determinato prodotto, negli anni successivi si è passati a proporre delle canzoni famose. Quindi sfruttando la popolarità di una canzone, tale popolarità veniva abbinata a un brand.. e viceversa perché magari il brand era capace di fare “scouting” e quindi trovare una canzone che successivamente veniva memorizzata nei confronti di quel determinato prodotto o servizio.

Successivamente, per vie alterne si è passati ad una produzione inedita, con brani creati ad hoc. In Italia ricordiamo il Carosello, che è stato un sipario interessantissimo. Chi non ricorda la musichetta di Calimero, oppure la canzoncina di Maria Rosa del lievito Bertolini (una canzone molto ripetitiva), o la “marcetta” di Pippo il famoso ippopotamo della Lines..

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Jingle famosissimi, anche di 30 secondi, 50 secondi, un minuto, mentre adesso si tende a ragionare su un suono molto breve di riconoscimento. Pensiamo, ad esempio al suono di Netflix, a quello di accensione dell’Xbox, o al suono di avvio di Microsoft. Suoni brevi che a livello economico permettono una forma di memorizzazione straordinaria perché in poco tempo si richiamano archetipicamente tutti gli elementi di un brand.. e con la stessa velocità di un logo visuale.

La musica, per essere memorizzata, ha bisogno di tempo mentre l’immagine visiva colpisce immediatamente: ha una forma di memorizzazione più veloce. Quindi come come entrare in competizione con questo attraverso l’audio? Attraverso dei piccoli jingle.. i loghi sonori.

Quindi c’è stata una grande varietà a livello sonoro. Mi piace ricordare Michael Jackson che nel 1984 con Pepsi cambia addirittura le parole della sua canzone per essere abbinata al marchio.

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Quindi, il più grande cantante che in quel momento vendeva più dischi, addirittura cambiò la sua canzone con un testo che raccontava il brand. Questo fa capire il potere della musica (anche a livello economico), e quanto sia importante il suono.. e lo sarà sempre di più!

 

Come si crea un logo sonoro nella pratica? E come si allinea il suono all’identità del brand?

Per la creazione di un sound logo, e quindi quello che viene chiamato “l’ambiente acustico di un brand” è necessario tener conto di diversi passaggi. Bisogna creare una strategia per capire esattamente le caratteristiche del brand da comunicare con quel determinato suono. Esattamente come lo si fa con i colori, con le forme, ecc.. Nel caso dell’audio, potrebbe essere usato sia un suono (quindi uno o più strumenti musicali), sia una voce.. e questa è un’ulteriore sfida futura.

A questa fase, ne segue una di analisi, in cui vengono individuati tutti i touchpoint in cui deve essere utilizzato il suono, perché ovviamente se deve essere utilizzato solamente nel web o solamente in un video avrà delle caratteristiche diverse.

C’è un bellissimo esempio di Mastercard che ha addirittura creato un ambiente sonoro che va dallo spot televisivo, dal video su YouTube, delle interviste fatte ai propri responsabili marketing, comunicazione e ai dirigenti, fino al passaggio della carta di credito nel POS.. quando si utilizza la carta viene riprodotto un breve suono che ricorda il logo dell’azienda.

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Credo che in questo momento sia ancora l’ambiente sonoro più completo che sia stato creato, perché ha veramente tantissime sfaccettature e tantissimi touchpoint.

Ma tu pensa, ad esempio, anche in uno store. Il fatto che un’azienda (es. un grande magazzino, una GDO, un supermercato) abbia un proprio suono riconoscibile che viene inserito come sottofondo nell’ambiente, ovviamente va a rafforzare quell’elemento di fedeltà, di fiducia, di conoscenza e di emozione.

Quindi strategia, analisi, e la terza fase è quella concettuale, quella secondo me più difficile perché va a creare gli elementi musicali compositivi di un luogo audio, che devono rispecchiare le caratteristiche identitarie del brand.

La fase successiva è quella che si chiama “test e perfezionamento“: è la fase in cui, proprio come si fanno le interviste e i focus group per tutti gli altri elementi della comunicazione, questo dev’essere svolto anche a livello audio. Tecnicamente i suoni prodotti vengono fatti ascoltare a delle persone e, attraverso diverse tecniche, si cerca di capire le emozioni e gli elementi valoriali che vengono trasmessi.

C’è un’ulteriore fase che quella dell’implementazione, in cui vengono realizzati tutti gli adattamenti per i diversi touchpoint. Dopo aver definito il sound predominante vengono declinati nei vari elementi, anche perché ovviamente la memorizzazione deve essere identica sia che il logo sia di 30 secondi, sia che sia di 20 o addirittura di 2 o un secondo.
Infine abbiamo la fase della consegna, in cui viene portato il sound logo all’azienda che ha lavorato su questo aspetto.

Mentre il logo design può essere può essere “improvvisato” (uno schizzo lo sa fare chiunque), per quanto riguarda l’audio non è possibile perché il livello di competenze necessarie è davvero molto alto, e ci sono aziende specializzate nel produrre questi suoni, che sono suoni complessi.

Anche perché la musica è un’arte che richiede anche preparazione. Pensa, ad esempio, di fare lo stesso sound logo con un pianoforte, con una chitarra, con un violino o con un sax. Sono emozioni diverse, con caratteristiche diverse.. sono trame proprio diverse.

 

Ho l’impressione che in Italia, quando nasce un brand, scatti in automatico l’input alla creazione dell’identità visiva, ma che questo non accada per la componente audio. Cosa ne pensi? Fuori dall’Italia com’è la situazione?

In Italia scatta ancora sempre il “logo design” perché è più semplice.. è una tradizione. Forse anche perché siamo un popolo che molto sensibile all’elemento visivo. Però, allo stesso tempo, la grande musica nasce in Italia e in Europa quindi c’è anche questo elemento.
Di certo possiamo dire che c’è una complessità perché richiede più competenze rispetto all’ambito grafico, e questo accentua il freno anche nell’immaginare un sound logo abbinato a un logo design.

Potrebbe trattarsi principalmente di una questione economica? Anche, ma principalmente è un fattore culturale. Quando lo propongo a delle aziende.. “ha mai pensato al logo sonoro?“, spesso mi sento chiedere “cos’è?“. Quindi manca proprio la grammatica, mentre se dici “dobbiamo fare un logo“, loro pensano al naming, al font, al lettering, al colore, ecc., quindi partono già con il ragionare sugli elementi.
C’è un grande lavoro da fare di evangelizzazione del mondo della comunicazione sull’aspetto audio. Credo che tu con il tuo libro lo stia facendo in maniera straordinaria, perché è anche uno dei primi che parla in maniera così “spudorata” dell’importanza della voce e del suono nella comunicazione.

Riflettendoci, la radio è nata prima, il cinema muto aveva bisogno di un accompagnamento sonoro per raccontare tutte le emozioni. Quindi sembra strano che poi si sia persa questa grammatica che è invece interessantissima. E dico che in Italia è ancora poco utilizzata, ma possiamo dire anche “per fortuna” perché le prime aziende che inizieranno a lavorare in maniera importante su questo avranno grande successo.

Negli altri paesi forse c’è maggior varietà anche perché si investe molto di più sull’identità di un’azienda. In Italia invece siamo ancora molto sull’aspetto industriale: prima l’azienda che ha realizzato un prodotto e successivamente vediamo come commercializzarlo. Mentre all’estero capita spesso che prima venga pensato il prodotto partendo da un’analisi di mercato, e che l’azienda arrivi dopo per eseguire la produzione del prodotto e servizio da immettere nel mercato.
La “scuola” italiana è quindi un po’ diversa.. ma pensa anche a livello legale.. nel senso che se un’azienda che nasce con un determinato inquadramento di prodotto non può produrre in altri ambiti. Quindi c’è anche una struttura legislativa italiana che non permette certe dinamiche. Negli Stati Uniti è possibile produrre dal pannolino alla bibita gassata, ad esempio, con una certa flessibilità e velocità. Esistono diversi fattori che contribuiscono a frenare un po’ l’Italia. Però sicuramente, come dicevo, visto che c’è ancora poco, chi prima arriva meglio alloggia in questo caso.

 

Ci fai qualche esempio di successo relativamente all’Audio Branding? Ci sono delle metriche, dei metodi, che ci consentono di capire l’apporto di questa attività nei risultati di un brand?

Non esistono dati precisi collegati solo all’audio. Non ce ne sono perché solitamente l’audio “viaggia” sempre con un’immagine.. pensa, ad esempio, allo spot! Lo stesso vale per la radio, la quale affianca comunque uno spot con elementi visivi. E se ci sono, rimangono nell’ambito aziendale, non vengono comunicati.. quindi non ci è dato sapere quanto effettivamente questo elemento sia determinante.

I due fattori da prendere in considerazione sono sicuramente la memorizzazione, quindi quanto quella canzone è legata al brand. Shakira è diventata famosa in Italia per lo spot Vodafone! La canzone “Whenever, Wherever” era famosa in tutto il mondo ma lei in Italia era una sconosciuta.. dopo lo spot  ha avuto grandissimo successo.

Alcune canzoni sono veramente adatte al prodotto.. TIM, ad esempio, che ha fatto quella campagna famosa con la canzone e il ballerino. Lì ha avuto un grande impulso la canzone stessa, pur non essendo conosciuta.. però è molto pertinente, aderisce bene all’identità del brand e ha dato una forma di memorizzazione straordinaria.

Quindi se il primo elemento è la memorizzazione, il secondo elemento è il valore aggiunto. Perché l’errore che si fa spesso è di lavorare in questo ambito per ottenere la memorizzazione da parte del pubblico.. ma non basta, perché si potrebbe memorizzare anche in maniera sbagliata. Infatti è capitato sia a TIM sia a Vodafone. La forma di ripetitività di queste canzoni, infatti, può diventare snervante. Mentre un logo tipo lo vedi e puoi togliere l’occhio, la musica devi per forza sentirla; quindi ha una valenza emozionale più dirompente, e ha sia elementi positivi sia, elementi negativi.

Quindi, oltre alla memorizzazione è necessario comprendere il valore aggiunto dà all’identità del mio brand. Questi sono i due elementi:

  • che mi faccia ricordarne azienda,
  • che dia un valore aggiunto, come lo deve dare anche il logo tipo.

 

Noi parliamo di Audio Branding e quindi relazioniamo il brand al suono. Come entra questo concetto nel mondo della Voice Technology? Solo come suoni su podcast ed applicazioni vocali? Oppure anche la voce si lega al brand come elemento identificativo?

Non ci sono ancora grandissime applicazioni, nel senso che tendenzialmente la voce abbinata a un brand è quella del testimonial.. Se sento, ad esempio, il claim di Nespresso “What else?“, non è solo il contenuto, ma è come viene pronunciato.. e questo dà la forma di memorizzazione. Un altro esempio famoso è il claim “toglietemi tutto, ma non il mio Breil“, e ancora un altro “fate l’amore con o sapore” di Müller.
Le parole pronunciate, sono probabilmente più legate ai claim rispetto ai nomi dei brand, quindi potremmo dire che sono forse un elemento che si aggiunge al sound logo per dare ancora più valore di memorizzazione, ancora più valore di caratterizzazione.

Chiaramente.. mentre la musica è unica, nel momento in cui George Clooney va a sponsorizzare un altro brand sorgono dei problemi perché ovviamente se lui abbina la sua voce a un altro prodotto, il pubblico potrebbe andare un po’ in confusione.

Sicuramente la voce può essere un elemento interessante su cui su cui lavorare, però lo vedo ancora utilizzato un po’ poco. È fondamentale ricordare che..

le tecniche per ricordare e memorizzare un prodotto o un servizio possono essere innumerevoli, però bisogna capire quali sono quelle più efficaci!

 

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